La vittimizzazione secondaria
La vittima di violenza sessuale muore soprattutto di una morte non fisica, muore dentro, svilita, umiliata, fatta a brandelli, dilaniata e lacerata da un'aggressività selvaggia da qualcuno che ha compiuto il percorso verso la de umanizzazione dell'essere umano, e che non si fa scrupolo a ridurla ad oggetto, sottomettendola ad un ruolo che la storia ha contribuito a costruire. Forse non tutti sanno che qualcuna, dopo le violenze inflitte, non può più diventare madre perché il danno è irrimediabile, dunque muore tutte le volte che è costretta a sentire che se l'è cercata, che è troppo provocante, che ha bevuto o fumato!
Muore tutte le volte che è costretta a leggere (quando ha la fortuna di essere ancora viva) i commenti di chi si indigna nel definire mostri i suoi aguzzini, come a voler deresponsabilizzare moralmente i carnefici, che hanno bisogno di tutto ma non di trovare scorciatoie nell'assunzione di responsabilità o qualcuno che abbia un occhio di riguardo o di pietà nei loro confronti. Ipocriti più attenti all'etica della definizione terminologica "mostro" che al dolore della vittima. Lei quei "non mostri" (per i benpensanti) li ha subiti senza poter scegliere. Non si leggono mai troppe parole che urlino il dolore delle vittime, ma mille parole per tutelare il carnefice da etichette o definizioni poco ortodosse, quello sì lo si legge, si spendono dibattiti.
Il termine donna, per i figli di un determinato patriarcato e (matriarcato) significa ancora inferiore, sottomessa, oggetto del desiderio, colpevole con le sue gonne corte, di turbare gli equilibri ormonali di chi non conosce freni inibitori, quindi da punire; quando poi è anche bella e intelligente diventa insopportabile la sua esistenza e l'impulso a ridimensionarne l'esistenza diventa irrefrenabile. Una donna bella, intelligente e anche libera costituisce una minaccia, fa paura! Non puoi più tenerla a bada! Sembrano dire: "E poi cosa vuoi di più?"
Si parla tanto spesso di carnefici, di mostri, di predatori, si delineano i motivi delle violenze, ma si parla sempre troppo poco delle vittime e delle ferite dell'anima inferte loro, dei mille pezzi in frantumi che il loro se' è destinato a subire, della vergogna che provano nel raccontare l'abuso, come se fosse colpa loro; si parla sempre e solo di percorso di recupero riabilitativo del carnefice, poco del percorso di elaborazione del lutto della vittima, del coraggio nell'affrontare un percorso di terapia che non ha scelto ma che occorre che intraprenda. Già, perché la differenza la fa sempre la libertà, chi sceglie di commettere la violenza ed esercitare il diritto di farsi paladino e punire, o assecondare i suoi istinti più beceri, e di chi invece quella violenza non la sceglie ma la subisce arbitrariamente.
Ma mi raccomando preoccupiamoci sempre e solo di non chiamarli mai mostri.
A Giulia Asia Alice Melania Sara Stefania Elena Roberta Yara Teresa Maria Oriana Vera Anna Celine Angela Sofia Mariella